Cos’è
L’intestino è l’organo deputato all’assorbimento delle sostanze nutritive che provengono dall’alimentazione. Ha l’aspetto di un tubo cavo della lunghezza di circa 7 metri (ma può variare dai 4 ai 10 metri o anche più) suddiviso in intestino tenue o piccolo intestino (a sua volta distinto in duodeno, digiuno e ileo) e intestino crasso o grosso intestino.
Il grosso intestino comprende il colon destro o ascendente (con il cieco e l’appendice), il colon trasverso, il colon sinistro o discendente, il sigma e il retto.
Il tumore del colon-retto è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa che riveste questo organo. Si distinguono generalmente in tumori del colon vero e proprio e in tumori del retto, ovvero dell’ultimo tratto dell’intestino, in quanto possono manifestarsi con modalità e frequenze diverse: rispettivamente 70 per cento e 30 per cento circa. Inoltre la sede precisa del tumore lungo il colon e nel retto può corrispondere a caratteristiche molecolari diverse e può condizionare la scelta del tipo di chirurgia, talora di radioterapia e di cure offerte al paziente.
Quanto è diffuso
Nei Paesi occidentali il cancro del colon-retto rappresenta il secondo tumore maligno per incidenza dopo quello della mammella nella donna e il terzo dopo quello del polmone e della prostata nell’uomo.
La malattia, abbastanza rara prima dei 40 anni, è maggiormente diffusa in persone di età compresa fra i 60 e i 75 anni, con poche distinzioni fra uomini e donne. In Italia si stima che questo tumore colpisca circa 23.000 donne e 30.000 uomini ogni anno (dati AIRTUM – Associazione Italiana Registro Tumori 2017). L’incidenza è in aumento nella popolazione femminile per via delle abitudini di vita sempre più uniformi tra i due sessi.
Negli ultimi anni si è assistito a un aumento delle diagnosi di tumori del colon retto, ma anche a una diminuzione della mortalità, attribuibile principalmente ai programmi di screening, alla diagnosi precoce e al miglioramento delle terapie, sempre più mirate e personalizzate.
Chi è a rischio
I fattori di rischio del tumore del colon-retto sono legati alla dieta, ai geni e ad altre cause di tipo non ereditario. Poiché si tratta di fattori piuttosto comuni, tutti sono a rischio.
Fattori nutrizionali
Molti studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di grassi e proteine animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumori intestinali. Viceversa, diete ricche di fibre, caratterizzate da un alto consumo di frutta e vegetali, sembrano avere un ruolo protettivo. Obesità e vita sedentaria costituiscono ulteriori fattori di rischio.
Fattori genetici
È possibile ereditare la predisposizione ad ammalarsi di tumore del colon-retto se nella famiglia d’origine si sono manifestate malattie come le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l’adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) e il carcinoma ereditario del colon-retto su base non poliposica (detto anche HNPCC o sindrome di Lynch). Si tratta di malattie trasmesse da genitori portatori di specifiche alterazioni genetiche e possono anche non dar luogo ad alcun sintomo. La probabilità di trasmettere alla prole il gene alterato è del 50 per cento, indipendentemente dal sesso.
Fattori non ereditari
Sono importanti l’età (l’incidenza è 10 volte superiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni rispetto a coloro che hanno 40-44 anni), il fumo, le malattie infiammatorie croniche intestinali (tra le quali la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn), una storia clinica passata di polipi del colon o di un pregresso tumore del colon-retto. Polipi e carcinomi che non rientrano tra le sindromi ereditarie sono definiti “sporadici”. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di due o tre volte nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del grosso intestino.
Tipologie
La maggior parte dei tumori del colon-retto deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi, ovvero di piccole escrescenze dovute al proliferare delle cellule della mucosa intestinale. I polipi sono considerati forme precancerose, sebbene rientrino nelle patologie benigne. Il polipo può essere definito, in base alle sue caratteristiche, sessile (cioè con la base piatta) o peduncolato (ovvero attaccato alla parete intestinale mediante un piccolo gambo).
Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Ve ne sono infatti tre diversi tipi: i cosiddetti polipi iperplastici (cioè caratterizzati da una mucosa a rapida proliferazione), amartomatosi (detti anche polipi giovanili e polipi di Peutz-Jeghers) e adenomatosi. Solo questi ultimi costituiscono lesioni precancerose e di essi solo una piccola percentuale si trasforma in neoplasia maligna.
La probabilità che un polipo del colon evolva verso una forma invasiva di cancro dipende dalla dimensione del polipo stesso: è minima (meno del 2 per cento) per dimensioni inferiori a 1,5 cm, intermedia (2-10 per cento) per dimensioni di 1,5-2,5 cm e significativa (10 per cento) per dimensioni maggiori di 2,5 cm. Una volta che si è trasformata in tessuto canceroso, la mucosa intestinale può presentarsi con caratteristiche diverse, distinguibili al microscopio: l’adenocarcinoma è Il tumore epiteliale più diffuso, seguono l’adenocarcinoma mucinoso, l’adenocarcinoma a cellule ad anello con castone, il carcinoma squamoso e il carcinoma indifferenziato.
Sintomi
Nella maggior parte dei casi i polipi non danno sintomi; solo nel 5 per cento dei casi possono dar luogo a piccole perdite di sangue rilevabili con un esame delle feci per la ricerca del cosiddetto “sangue occulto”.
Il tumore del colon-retto si manifesta, nella metà dei casi, nel sigma (ovvero nell’ultima parte del colon vero e proprio) e nel retto; in un quarto di malati è il colon ascendente a essere colpito, mentre la localizzazione della malattia nel colon trasverso e in quello discendente si verifica in un caso su cinque circa.
Al momento della diagnosi, circa un terzo dei malati presenta già metastasi epatiche e, comunque, una parte delle persone colpite andrà incontro a una diffusione della malattia a livello del fegato, perché i due organi sono collegati dalla circolazione sanguigna. I sintomi sono molto variabili e condizionati da diversi fattori quali la sede del tumore, la sua estensione e la presenza o assenza di ostruzioni o emorragie. Questo fa sì che le manifestazioni del cancro siano sovente sovrapponibili a quelle di molte altre malattie addominali o intestinali. Per questo sintomi precoci, vaghi e saltuari quali la stanchezza e la mancanza di appetito e altri più gravi come l’anemia e la perdita di peso, sono spesso trascurati dal paziente. Talora una stitichezza ostinata, alternata a diarrea, può costituire un primo campanello d’allarme.
Prevenzione
Se una persona sa di essere a rischio elevato, perché ha avuto parenti con questo tumore in uno o l’altro dei rami familiari, è opportuno che segua una dieta con pochi grassi, poca carne e ricca di fibre, vegetali e frutta al fine di ridurre il rischio di sviluppare dei tumori del colon-retto.
La ricerca del sangue occulto nelle feci è in grado di identificare il 25 per cento circa dei cancri del colon-retto e pertanto è raccomandata nell’ambito dello screening per tutti gli individui tra i 50 e i 75 anni di età, con cadenza biennale. In caso di positività dell’esame è indicata la colonscopia, un esame del colon con un apposito tubo flessibile. In caso di familiarità per neoplasia del colon retto la colonscopia è indicata a partire dai 45 anni oppure 10 anni prima dell’età della diagnosi del parente di primo grado. L’esame, se negativo, va ripetuto ogni cinque anni. La ricerca del sangue occulto nelle feci, in questi casi, viene effettuata annualmente. In caso di sindromi genetiche ereditarie bisogna invece seguire protocolli specifici a partire dalla giovane età.
Un’altra strategia di provata efficacia, adottata come screening in alcune regioni di Italia, combina la ricerca del sangue occulto nelle feci ogni due anni con una rettosigmoidoscopia, esame più semplice della colonscopia da farsi una sola volta nella vita, tra i 58 e i 60 anni. È invece certo che tutti coloro che manifestano sintomi intestinali compatibili con la diagnosi di tumore del colon devono eseguire una colonscopia completa.
Alimentazione e cancro del colon-retto
Tra i fattori di rischio legati allo stile di vita, la dieta rappresenta uno dei più studiati. Una dieta ad alto contenuto di grassi animali e proteine sembra favorire la trasformazione maligna di eventuali polipi del colon preesistenti. Questo non sembra avvenire con i grassi vegetali, insaturi.
Le fibre alimentari, in particolare quelle che non vengono digerite come la crusca, sembrano avere un effetto protettivo. Si è osservato che le popolazioni vegetariane hanno un’incidenza di carcinoma del colon-retto ridotta del 30 per cento.
Difficilmente la dieta è l’unica causa di un tumore del colon, ma può contribuire allo sviluppo della patologia insieme ad altri fattori di rischio.
Diagnosi
Il tumore del colon-retto viene oggi diagnosticato sempre più precocemente grazie alle campagne di screening sulla popolazione nella fascia d’età considerata più a rischio.
La diagnosi si avvale dell’esame clinico, che consiste nella palpazione dell’addome alla ricerca di eventuali masse nell’intestino, nel fegato e nei linfonodi. Nel caso dei tumori del retto, l’esplorazione rettale manuale consente nella maggior parte dei casi di effettuare la diagnosi.
Esistono poi diverse indagini strumentali che permettono di diagnosticare il tumore e, di eseguirne la stadiazione, ovvero di valutarne l’estensione e di conseguenza la gravità. L’esame più specifico è la colonscopia che, grazie alla possibilità di eseguire una biopsia, consente di fare subito l’analisi istologica, cioè l’esame del tessuto. L’ecografia dell’addome e la TC (Tomografia Computerizzata) dell’addome e del torace con mezzo di contrasto consentono di valutare l’estensione del tumore stesso e la presenza o meno di metastasi a distanza.
In caso di tumori del retto la stadiazione della malattia prevede anche l’esecuzione dell’ecoendoscopia ano-rettale e della risonanza magnetica dell’addome e della pelvi con mezzo di contrasto. Gli esami ematochimici e la ricerca del marcatore tumorale carcino-embrionario (CEA) contribuiscono a definire lo stadio del tumore, mentre la PET è un esame da riservare a casi specifici e selezionati quando le indagini sopra riportate non siano decisive.
Evoluzione
È possibile determinare con un prelievo di sangue i valori di CEA (antigene carcino-embrionario). Questo marcatore, di scarsa utilità nella diagnosi precoce e nello screening, riveste invece un ruolo importante per valutare la gravità della malattia, poiché la concentrazione è direttamente collegata all’estensione del cancro. Il CEA è anche utile nel monitoraggio della risposta al trattamento farmacologico (scende infatti se la chemioterapia è efficace) o per la verifica della ripresa della malattia (risale in caso di ricadute). Non sempre è però un marcatore sensibile in quanto non tutti i tumori del colon retto lo esprimono. Oltre al CEA può essere utilizzato anche un altro marcatore, il CA 19.9 detto anche GICA, anche se meno specifico perché più indicativo nel cancro del pancreas.
L’analisi del profilo molecolare del tumore, ossia dei geni espressi e delle loro alterazioni, può servire a definire meglio la prognosi e la terapia: alcune alterazioni sono associate a un andamento migliore o peggiore della malattia e alla sensibilità ai farmaci.
A differenza di altri tipi di cancro per i quali esiste una classificazione pressoché univoca, per il tumore del colon-retto si usano diverse forme di classificazione, sulle quali non sempre i medici concordano. La più usata è quella che si riferisce al sistema TNM (dove T sta per la dimensione del tumore, N per il numero di linfonodi coinvolti e M per le metastasi).
Come si cura
La terapia più comune è la chirurgia: in base alla sede e all’estensione del tumore si procederà con un intervento conservativo, demolitivo parziale o, nei casi più gravi, con la totale asportazione del tratto di colon (o del retto) interessato.
Nei tumori del retto, la chirurgia è spesso preceduta da chemio e radioterapia, al fine di effettuare interventi sempre più conservativi e, quando possibile, di evitare la creazione della cosiddetta stomia. La stomia è l’apertura dell’intestino sulla parete addominale con la realizzazione di un ano artificiale, che consente di raccogliere le feci con appositi presidi. In questo caso è fondamentale la riabilitazione sia fisica sia psicologica dei pazienti. Un altro intervento, attuato in casi selezionati, è la resezione di eventuali metastasi al fegato.
La chemioterapia svolge un ruolo fondamentale sia nella malattia operabile sia in quella avanzata. Molti studi clinici hanno dimostrato l’efficacia della terapia medica oncologica cosiddetta adiuvante, cioè effettuata dopo l’intervento chirurgico per diminuire il rischio di ricaduta, come avviene per il tumore della mammella. Sono positivi anche gli studi sulla terapia neoadiuvante effettuata prima dell’intervento per ridurre la dimensione del tumore e facilitare il compito del chirurgo. In particolare i tumori del retto si avvalgono di un trattamento combinato di chemio-radioterapia per ridurre al minimo il rischio di recidive locali e a distanza, e per aumentare le possibilità di una chirurgia conservativa, riducendo così l’estensione del tumore. I farmaci oncologici attivi nel trattamento del tumore del colon retto comprendono le fluoropirimidine (5-fluorouracile endovenoso, capecitabina orale), l’oxaliplatino e l’irinotecan.
I cosiddetti farmaci biologici possono essere associati alla chemioterapia e comprendono, per esempio, farmaci diretti contro il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) quali il bevacizumab e l’aflibercept, i farmaci contro il recettore per il fattore di crescita epidermoidale (EGFR), quali cetuximab e panitumumab, e il regorafenib, un inibitore delle chinasi. Per l’uso di questi farmaci i pazienti vanno selezionati in base al profilo molecolare del tumore e in particolare alla presenza di mutazioni che indicano la possibile risposta al trattamento. Alcuni farmaci di seconda linea sono utilizzati quando i trattamenti con i farmaci precedenti non sono stati sufficienti a controllare la progressione della malattia metastatica.
fonte: https://www.airc.it/